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L’amministrazione statunitense, sotto la guida del neo-presidente rieletto Donald Trump, sta adottando una strategia tariffaria che, discostandosi dalle tradizionali logiche economiche e industriali, trasforma i dazi in strumenti di “pressione politica”.
Se in passato la politica daziaria e le tariffe venivano utilizzate per proteggere le industrie nazionali o riequilibrare i conti con l’estero, oggi assistiamo a un loro impiego da parte di Trump per ottenere concessioni politiche (dall’emigrazione, alla lotta agli stupefacenti) anche da Paesi amici.
Questo approccio sta generando un clima di forte incertezza sui mercati globali, con un incremento degli indicatori di instabilità commerciale, perché fa saltare le determinanti di convenienza economica, trasformando il commercio mondiale in una sorta di arena i cui risultati sono influenzati da un gioco di contrattazioni e di negoziazioni bilaterali ancorato a precise contropartite.
Le conseguenze interne della nuova politica tariffaria sono già visibili: gli osservatori internazionali stimano perdite economiche più o meno rilevanti derivanti dai dazi all’importazione, da un terzo di punto di PIL a quasi un punto, ma soprattutto un forte peggioramento della situazione delle famiglie, con perdite di potere di acquisto reale della classe media di oltre il 4%, a fronte di guadagni di quella che si trova al top 1% dei redditi.
Il punto è che cambiando il senso delle politiche tariffarie, e usandole come strumento di pressione “politica”, si finisce per scardinare l’edificio multilaterale che è stato alla base dell’ordine internazionale a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.
La domanda quindi è se questa situazione dovesse permanere per lungo tempo, c’è il rischio concreto di un forte rallentamento della crescita economica reale, a tutto vantaggio di movimenti speculativi finanziari di grandi investitori e big corporation? E questo potrebbe essere un effetto messo in conto dall’Amministrazione statunitense, o almeno, dai suoi supporters multinazionali?
Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, prova a rispondere a questo interrogativo nell’articolo pubblicato sul blog di HuffPost dal titolo “La minaccia dei dazi di Trump vuole scardinare il sistema del commercio multilaterale”.
Leggilo qui
https://www.huffingtonpost.it/blog/2025/02/10/news/la_minaccia_dei_dazi_di_trump_vuole_scardinare_il_sistema_del_commercio_multilaterale-18383032/